• 10 gen

    2023

  • Redazione

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Riflessioni sulla politica monetaria e sull’inflazione

Divo Gronchi

 

Si premette che chi scrive non è un economista. È interessato alla materia per averla dovuta maneggiare per tanto tempo al fine di prendere decisioni almeno consapevoli.
La politica monetaria è stata in molti paesi, specialmente negli Stati Uniti e nell’area dell’euro (EA), molto espansiva. L’inflazione persistente ad un livello inferiore all’obiettivo di entrambe le banche centrali (fissato intorno al 2%) e con tassi di interesse inusitatamente bassi e poi addirittura negativi, ha spinto ad adottare politiche “non convenzionali” per immettere liquidità nei mercati e contrastare rischi di deflazione (quantitative easing).
Ciò ha consentito di superare la crisi pandemica senza sussulti nonostante il manifestarsi – nel 2021 – di incrementi nei prezzi al consumo (in media a livello mondiale 4,7%, EA del 2,6%) a causa di aumenti principalmente nelle materie prime, a fronte di una ripresa della domanda dopo Covid 19, e dei prodotti energetici ed alimentari (questi ultimi per siccità manifestatasi in diversi paesi).
Nell’ultima seduta di dicembre 2021, il Consiglio direttivo della BCE prende atto che i progressi compiuti nella ripresa economica e verso il proprio obiettivo di inflazione, consentono una riduzione graduale del ritmo di acquisti dei titoli. Si decide per l’interruzione del Pandemic emergency purchase programme PEPP a fine marzo 2022 e per il reinvestimento dei titoli rimborsati in modo flessibile per classi di attività e paese, al fine di evitare la frammentazione dei mercati finanziari. Si annuncia poi che l’aumento dei tassi di interesse avverrà dopo l’interruzione dell’acquisto dei titoli.
È di fatto il primo annuncio per una graduale normalizzazione della politica di bilancio, prudenziale per non intralciare una ripresa economica non ancora consolidata.

La folle invasione dell’Ucraina da parte della Russia, nel febbraio 2022, sconvolge le aspettative dei mercati ed obbliga la BCE a cambiare radicalmente le proprie linee operative. Nella riunione del marzo, si modifica il ritmo degli acquisti e si preannuncia che, ove persistano le prospettive di rialzo dell’inflazione, il programma di acquisto PAA terminerà a luglio. Si ribadisce che l’aumento dei tassi avverrà dopo il termine degli acquisti di titoli nel quadro PAA e che sarà graduale. Prevale la continuità e la prudenza rispetto al passato in un clima di aumentata complessità e incertezza.
Ad aprile si prende nota dell’aumento repentino dell’inflazione (7,5% a marzo) a causa principalmente del costo dell’energia (più 45%) e dei prezzi dei beni alimentari; entrambi i fattori sono connessi alla guerra e si stima comunque che in un prossimo futuro possano registrare moderazione. L’inflazione core supera l’obiettivo del 2% negli ultimi mesi mentre la dinamica salariale resta nel complesso contenuta. Cambia notevolmente la strategia. La politica monetaria continuerà ad essere guidata dai dati e rifletterà l’evolversi della valutazione dello stesso Consiglio delle prospettive inflazionistiche.
In definitiva si disancorano le decisioni future da dati predefiniti e controllabili. La prevista transitorietà degli aumenti dei prezzi di fattori che incidono notevolmente sulla dinamica dell’inflazione, favoriscono la continuità, pur in un quadro di sollecita attenzione all’andamento dei mercati finanziari e dell’economia.
A giugno si prende atto dell’aumento significativo dell’inflazione e soprattutto delle ampliate pressioni inflazioniste sui prezzi di molti beni al consumo e dei servizi. Si decide quindi di interrompere il PAA con il mese di luglio e si preannuncia, sempre in luglio, il primo rialzo dello 0,25% dei tassi di interesse. Si ritiene infine che, dopo settembre, un graduale ma duraturo percorso di ulteriori aumenti dei tassi sia appropriato.
Nelle successive riunioni di luglio, settembre e ottobre, si procede ad aumentare i tassi di riferimento di 0,50%, il primo per uscire dalla fase dei tassi negativi e poi con due incrementi dello 0,75%.
A metà dicembre, preso atto del persistente aumento dell’inflazione, si decide un ulteriore rialzo dei tassi dello 0,50% e si annunciano «ulteriori incrementi in misura significativa a un ritmo costante per raggiungere livelli sufficientemente restrittivi ad assicurare un ritorno tempestivo dell’inflazione all’obiettivo del 2% nel medio termine»
Interessanti le proiezioni dell’inflazione della BCE a fine anno. In media sono dell’8,4% nel 2022 per poi scendere al 6,3% nel 2023, 3,4% nel 2024 e 2,3% nel 2025. Quelle dell’inflazione core: 3,9% nel 2022, 4,2% nel 2023, 2,8% nel 2024 e 2,4% nel 2025.
La stima rapida dell’inflazione da parte di Eurostat si colloca al 10%, lievemente inferiore rispetto al 10,6% di ottobre.
A fine anno il tasso di interesse per operazioni di rifinanziamento principale è pari al 2,50% e quello sui depositi al 2%. I tassi reali sono ancora ampiamente negativi. Appaiono pertanto quanto meno eccessive le critiche rivolte da parte di molti economisti e commentatori all’azione dell’autorità monetaria.
In questi mesi si sono accentuate le critiche sul merito delle decisioni del Consiglio direttivo della banca centrale e sulle modalità di comunicazione. Molti economisti e consulenti finanziari hanno osservato che la banca centrale si è mossa in ritardo rispetto alla FED; che ha errato le previsioni sulla persistenza o transitorietà dei fattori inflazionistici; che non si è mai presa la responsabilità di indicare il possibile punto di arrivo dei tassi ufficiali ed infine che non è stata trasparente. Su queste critiche si è ampiamente intrattenuto, a mio parere in modo suadente, il Governatore Visco nel corso di vari incontri nel mese di novembre, per cui non mi azzardo ad aggiungere altro.
A me pare che nel corso delle varie riunioni la banca centrale abbia annunciato in trasparenza i vari provvedimenti per cui i mercati finanziari, ma anche le famiglie e le imprese, hanno avuto a disposizione le principali informazioni per prendere le proprie decisioni di investimento.
È ovvio che la banca centrale si trova davanti ad un difficile bivio:
- non agendo tempestivamente o con misure troppo blande, si rischia di lasciare per troppo tempo alta l’inflazione con perdita di potere di acquisto dei redditi esacerbando una spirale redditi-salari difficile poi da disinnescare;
- agendo bruscamente e troppo velocemente sul rialzo dei tassi si può soffocare la timida ripresa dell’economia o, peggio, accelerare i rischi di recessione.

Decisioni complicate anche dal fatto che l’inflazione non è simile per tutti i paesi dell’area dell’euro e che l’aumento dei tassi incide in maniera variegata sui singoli bilanci pubblici.
Con un solo strumento si devono centrare diversi obiettivi. Non mi pare che la politica fiscale degli Stati possa aiutare in questa contingenza, anche per l’ancora imperfetta architettura dell’Unione.
La banca centrale dovrà poi considerare il quadro internazionale. La FED ha elevato i tassi nel 2022, dopo quattro anni a zero, per ben otto volte portandoli al 4,50%; secondo molti banchieri e analisti, è aperta ad un ulteriore rialzo fino al 5%. Anche se la BCE non ha mandato per i cambi, è indubbio che un apprezzamento del dollaro inciderà, in Europa sull’inflazione.
Sempre per gli USA poi si è attenuato il rischio di recessione e l’economia europea si è mostrata resiliente alle turbative delle due crisi, la pandemica e la guerra in Ucraina. Si può quindi stimare che la BCE, in linea con le decisioni del Consiglio direttivo di dicembre, aumenti i tassi ad un ritmo mensile di 0,50% (febbraio e marzo), con la ricorrente riserva di verificare i dati per un ulteriore, da non escludersi, aumento di 0,25/0,50%.